Giornata di Spiritualità 2016

01 novembre 2016

Si è svolta sabato 22 ottobre la giornata di spiritualità organizzata da e per i volontari FARO e per gli operatori, a chiusura del ciclo sulla spiritualità analizzata negli anni scorsi dal punto di vista confessionale (religioni cristiane, musulmana e buddhista). Quest’anno è stata centrata sulla spiritualità laica e ha visto gli interventi di Augusto Cavadi, filosofo di Palermo autore di numerose opere, di Carlo Troisi e  Flaviana Rizzi dell’Associazione UAAR (Unione Atei e Agnostici Razionalisti) e di Luisa Sesino, consulente filosofico che opera anche nel campo sanitario nell’area delle cure palliative.

Augusto Cavadi, che si autodefinisce filosofo di strada, è orientato ad ascoltare gli interrogativi forti che ne arrivano e a cercare in cooperazione delle possibili risposte, che siano non solo indicazioni teoretiche ma anche pratiche, come arte del pensiero e del modo di essere. La spiritualità laica si pone nel filone della spiritualità filosofica ma deve essere inserita in una storia e avere una dimensione sociale: una comunità in grado di intrattenere relazioni. Cavadi fa notare che se le spiritualità confessionali presuppongono una religiosità, la religiosità stessa presuppone una spiritualità laica, che è di tutti, e con una bella immagine la paragona “al fiorire della persona”. C’è bisogno di una comunità, perché l’io è costituito dal suo rapporto con l’altro, mentre la nostra civiltà e la nostra cultura sono essenzialmente fondate sull’individualismo. Quindi spiritualità filosofica, ma pratica e praticabile.

Carlo Troisi dell’UAAR considera la spiritualità un'attività del pensiero e quindi comune a tutti gli uomini e anche se in questi 2000 anni la spiritualità osservata è stata quella cristiana, almeno in occidente, in realtà esistono numerose altre spiritualità non confessionali, come ad esempio in oriente. Gli atei leggono la morte all'interno di una concezione materialistica (lo spirito è il prodotto del cervello) e, riprendendo l’immagine di Epicuro (“se c’è la vita non c’è la morte e se c’è la morte non c’è la vita”), deducono che non si può aver paura di ciò che non c’è. Si vive nel presente e nel presente non c’è passato né futuro. Flaviana Rizzi aggiunge alcune notizie sui riti laici, di commiato e di elaborazione del lutto, informando della disponibilità, da parte dell'UAAR, di un servizio di ascolto per non credenti presso la Città della Salute a Torino.

Luisa Sesino affronta in particolare il tema della spiritualità nell’ultima fase della vita, durante la malattia, in quanto è comprovato che la dimensione spirituale torna prepotentemente alla ribalta proprio a fine vita. Mette in guardia contro la pratica di quella che chiama “la pronta consolazione” onde evitare che i volontari dell’hospice vi cadano in trappola. Si tratta della “congiura del silenzio” intorno al malato, per negare la realtà della situazione e in particolare suggerisce di fare attenzione alle frasi che iniziano con "MA"; la congiunzione è un segnale delle nostre difficoltà: “ …ti trovo bene, ma dovresti mangiare di più per riprenderti...” o simili. La fame di spiritualità del paziente non è diversa dalla nostra, ma va incontrata nello spazio che il paziente intende aprire; dobbiamo fare attenzione alla sua domanda e restare in quei limiti. Frasi come “...anche Gesù ha tanto sofferto…”, anche se detta a un praticante da un praticante, è una di quelle “pronte consolazioni” da evitare. Ricordiamoci che il paziente a fine vita ha perso i suoi ruoli, ha bisogno di sapere chi è attraverso le sue parole, per costruirsi un senso ritrovato per la sua vita, e il nostro ascolto, mentre ci rilegge il suo passato, può consentire di  ritrovarlo, magari del tutto differente da quello che aveva inteso perseguire in salute. In questa fase il paziente può comunque ricercare la riconciliazione, può mettere in ordine, e cita una frase di un paziente: “preferisco essere in pace che avere ragione”. Anche se le carte da giocare sono poche, si può ancora scegliere, dire, fare anche poco: vivere la malattia, anche attraverso il vissuto stesso della malattia, lasciandosi andare nel mysterum che ci eccede e nel quale Morte, Amore e Verità possono aiutare a rimodulare la sofferenza del fine vita.

Lauretta Borsero